Della terra in cui è nata le sono rimasti pochi ricordi, vaghi e confusi: la zia Aster che si sforza di farla mangiare, i suoi passi a testa bassa sulla strada per la scuola, i giochi con il cugino Abbush e i bambini del quartiere. Le è rimasto il nome, che in amarico significa “nostalgia” e sembra alludere a qualcosa di originario che le mancherà sempre. E il cognome, Abraham, preso da un padre che non conosce, ma che si trascina dietro come un’ombra, come la traccia di un passato divenuto ormai troppo distante. Perché Tezeta è italiana. La madre, per fuggire da un marito violento, l’ha portata a Roma e affidata a un collegio di suore. E negli anni Novanta, Tezeta cresce come in un romanzo settecentesco, in una sorta di prigione in cui le giornate trascorrono uguali, prese nella morsa di una routine inscalfibile, che mal si concilia con il suo temperamento irrequieto. Quando a quattordici anni Tezeta riesce finalmente a lasciare per sempre il collegio, il destino le riserva una svolta sorprendente: vince Miss Italia Africa, diventa una modella e scopre un mondo di cui non sospettava l’esistenza e che è meno brillante di quanto possa apparire. Poi, ormai donna e madre a sua volta, fa ritorno a Gibuti per riempire i vuoti della sua storia familiare e scoprire la verità sulla fuga che le ha cambiato la vita per sempre.
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