J. M. Coetzee è morto. Un giovane accademico inglese decide di scrivere la biografia del premio Nobel sudafricano: si soffermerà in particolare sulla prima metà degli anni Settanta quando lo scrittore, appena tornato dagli Stati Uniti e ancora ben lontano dalla fama letteraria, viveva al limite dell'indigenza insieme al padre in una modesta villetta. Per farlo, intervista alcune persone che lo conobbero - tra cui due donne che ebbero una relazione con lui - e che gli furono vicine durante quei difficili anni di apprendistato alla vita. Perché, sebbene abbia più di trent'anni, John Coetzee appare un uomo inadatto alla vita adulta, bloccato nella condizione di figlio, incapace di mantenere una relazione con le donne, un solitario chiuso in se stesso, un amante freddo e maldestro un insegnante controvoglia, uno scrittore tutt'altro che talentuoso. Ma la caratteristica che più di tutte emerge dai racconti dei testimoni è la profonda sfiducia che il futuro autore di "Aspettando i barbari" sembra nutrire verso il linguaggio e la capacità degli uomini di comunicare - e di conoscere se stessi - attraverso le parole.
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