Il tunnel è un libro-verità, anche se la scrittura sembra un romanzo. È la testimonianza del calvario vissuto da trecento deportati francesi usciti dall'inferno di Mauthausen per andare a costruire, al confine dell'Austria e Jugoslavia, un tunnel strategico destinato - secondo le intenzioni di Hitler al facile e comodo passaggio dei carri armati tedeschi attraverso i monti Karawanken. Un mattino di primavera del 1943 questi trecento - scelti perché i più robusti dei 2500 francesi deportati - si avviavano al loro piccolo lager di Loibl-Pass. Spicca tra loro un bel ragazzo della "mala", un po' magnaccia e un po' borsanerista: Paul Chastagnier, Paulo per gli intimi. Non un patriota, dunque, ma uno, anzi, che ai patrioti dice: "Se non fosse per voi, non ci troveremmo qui". È lui il vero protagonista del libro, tanto più profonda in quanto priva d'ogni retorica nazionalistica. Gli è pure estranea quella della stessa "mala", largamente rappresentata a tutti i livelli nella équipe che eseguirà il tunnel fra stenti incredibili, terrore di essere rispediti a Mauthausen e le pallottole dei mitra delle SS che giocavano a uccidere per uccidere. Ma ad ogni calvario segue una resurrezione: che non è solo quella di Paulo, il cui riscatto si compie appunto fra quegli stenti, quel terrore quei mitra pazzi e implacabili. Non a Hitler, infatti, verrà consegnato il tunnel, ma ai partigiani di Tito, dopo due anni di ininterrotto lavoro. Un lavoro dunque che è speranza e salvezza.Questo è un libro tutto vero, come veri sono i suoi personaggi, ai quali, per ragioni facilmente intuibili, è stato mutato, nella narrazione, il nome. Con una sola eccezione: quella del patriota André Ménard, caduto con le armi in pugno, tra le file dei partigiani di Tito, in uno scontro con i nazisti.
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