Cinque momenti della vicenda interiore politica e letteraria di Goliarda Sapienza, una scrittrice troppo in anticipo sui tempi.
Se normalmente si intende l'autobiografia come il racconto retrospettivo del proprio vissuto a partire da un punto d'osservazione nel presente, Goliarda Sapienza reinventa il genere, immaginando una scrittura che accompagna a intermittenza lo scorrere della vita. Lettera aperta, il romanzo d'esordio, e Il filo di mezzogiorno raccontano la turbolenta nascita di una scrittrice che ha fatto di tutto per non diventarlo: Goliarda è la bambina guerresca che non cammina mai perché corre sempre, ma è al contempo la donna adulta che la ricorda. In Io, Jean Gabin la protagonista è ancora Goliarda bambina, ma il filtro questa volta è l'identificazione con l'icona virile e anarchica del cinema francese. I due romanzi successivi, L'università di Rebibbia e Le certezze del dubbio, vedono un cambio di stile e di prospettiva: l'io autobiografico si mette in disparte prestando la sua voce alle donne incontrate a Rebibbia e poi nel «carcere fuori dal carcere» della metropoli romana, in cui vaga alla ricerca della sorellanza intuita e ormai perduta. A scorrere le pagine appassionanti di questa autobiografia sorge un sospetto: e se tutte le contraddizioni alla fine si rivelassero coerenza? Coerenza di verità e bellezza dell'insieme della sua opera.
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