Giorgio Manganelli – Concupiscenza libraria (2020)
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Lettore accanito e onnivoro, Manganelli comincia assai presto a scrivere di libri, nel 1946, e nel giro di qualche anno la recensione si trasforma nelle sue mani in un vero e proprio genere letterario che esige uno scrittore, capace non tanto di giudizio – compito “da professore o da irto pedagogo” – quanto di un “gesto critico, esatto, lucido, veloce e non precipitoso, felicemente prensile”. I presupposti di tale nuovo genere li ritroveremo tutti in questa raccolta, dove Manganelli rivela una prodigiosa capacità di aprire i suoi pezzi con un ‘presentimento di racconto’ (“Se sono in preda ad un rissoso malumore, tre pagine di Singer mi “stigrano”, come si dice in certi dialetti emiliani”); di cogliere le peculiarità di un autore come si infilza una farfalla in una bacheca (L'”Iguana” è un libro che “sembra non avere autore, ma solo essere un perfetto “apporto”, come dicono gli spiritisti”); di dare sfogo a una “concupiscenza libraria” che lo trascina da Omero a Chaucer, all’amato Seicento, a Vincenzo Monti, Keats, Ivy Compton-Burnett sino a Oliver Sacks e Anna Maria Ortese; di brandire irresistibilmente ironia e sarcasmo (“Stretto nella teca dei suoi calzoni accanitamente abbottonati, il ritroso Cassola ha della letteratura un’idea che fa apparire “La famiglia cristiana” l’organo dell’Ente per lo Scambio delle Mogli”); di officiare fastose cerimonie stilistiche e verbali; ma soprattutto di farci intravedere, dietro lo “spazio di indifferenza emotiva” che pone fra sé e ciò che scrive, quella passione della letteratura che “produce matrimoni, fughe a due, notti insonni, poesie, serenate, omicidi, ma in nessun caso cose ragionevoli e sensate “.
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