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Il 9 maggio 2008 Angelino Alfano fa il suo ingresso a via Arenula in qualità di ministro della Giustizia del nuovo governo Berlusconi. E subito si trova coinvolto nella serie di commemorazioni delle tante persone - magistrati, preti, medici, politici, giornalisti, membri delle forze dell'ordine - cadute durante la loro eroica e implacabile lotta contro la mafia: in maggio Giovanni Falcone; in luglio Paolo Borsellino, Boris Giuliano e Rocco Chinnici; in agosto Ninni Cassarà; a settembre Carlo Alberto Dalla Chiesa, Pino Puglisi, Mauro De Mauro e Rosario Livatino... Uccisi in anni diversi, ma sempre, curiosamente, nel corso della più lunga e calda stagione del Meridione italiano. La mafia uccide d'estate è l'autobiografia politica di un "antimafioso siciliano berlusconiano" e il racconto, personale e sincero, di un percorso di intensa partecipazione alla vita civile e di costante impegno istituzionale, che culmina nel triennio da Guardasigilli dedicato a fronteggiare tre grandi emergenze: la mafia, la lentezza dei processi e il sovraffollamento delle carceri. In un'analisi lucida e obiettiva, Alfano spiega come, attraverso gli strumenti della giustizia, anche la politica ha contribuito a combattere la criminalità organizzata, e ricorda quali azioni il suo ministero ha intrapreso per rendere efficiente il nostro sistema giudiziario e per risolvere il problema del sovraffollamento delle carceri, cercando di non dimenticare mai che ogni detenuto è, innanzitutto, una persona. E, in particolare, si sofferma - senza nascondere la fatica, le amarezze e le accanite resistenze incontrate lungo il cammino - sul tentativo di attuare una riforma costituzionale della giustizia volta a modernizzarne il funzionamento e a favorire un armistizio tra politica e magistratura (il cosiddetto Lodo Alfano). Un impegno, quello di Alfano, a tutto tondo, che non si esaurisce nel pur complesso scenario italiano, ma ha un meno noto e non per questo meno significativo sviluppo nello sforzo di "contribuire alla nascita dell'Europa dei diritti e dei doveri comuni". È proprio nel quadro di una riflessione sulla giustizia al di fuori del nostro Paese e sull'opera dei Guardasigilli di tutti gli Stati del mondo per la creazione di uno spazio comune di libertà, sicurezza e giustizia, che assume un ruolo emblematico in queste pagine il resoconto appassionato del suo personale contributo al processo di consolidamento del sistema della giustizia internazionale, a partire da due presupposti fondamentali: il sentimento etico che rifiuta l'ingiustizia in ogni sua forma e la crescente consapevolezza della necessità di considerare alcuni crimini, particolarmente ripugnanti, alla stregua di violazioni perseguibili su scala universale.
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