Piero Cavallero è stato il protagonista di una vicenda che fu celeberrima negli anni sessanta. Figlio di uno dei quartieri più proletari della Torino operaia, giovane carismatico e politicizzato, comunista e ancor più a sinistra dei comunisti, Cavallero divenne il rapinatore di banche più famoso d'Italia. Fu catturato nel corso della sua ultima rapina, in una caccia all'uomo spietata e tragica, durante la quale per le vie di Milano ci furono diversi conflitti a fuoco, il ferimento di decine di persone e la morte di tre passanti. Ma dietro questo scenario, che a posteriori sembra quello di un western, o di un poliziesco americano, c'è un pezzo di storia d'Italia. Dietro a Cavallero c'è una generazione che aveva visto esaurirsi la carica della lotta partigiana nel perbenismo dell'Italia democristiana. Dietro alla violenza della banda di rapinatori si scorge il profilo della lotta armata che verrà. Nel 1968, Giorgio Bocca, che a Torino aveva vissuto proprio negli stessi anni della formazione di Cavallero, pubblica questa inchiesta sul bandito più famoso d'Italia e affronta senza paura e senza moralismo le questioni spinose che la vicenda di Cavallero poneva al paese
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