Dei pentiti si parla e si scrive molto. Dei loro nomi, delle loro «rivelazioni » sono pieni i titoli e le colonne dei quotidiani e dei settimanali di questi ultimi anni, né mancano le polemiche sul trattamento loro riservato, sul credito loro attribuito. Non sembra invece che dei pentiti si parli e si scriva abbastanza per interrogarsi sulla portata complessiva di questa « novità» nella vita giudiziaria, e non soltanto giudiziaria, del nostro paese. Sembra anzi che quanti hanno responsabilità dirette o indirette nel determinarsi del fenomeno del « pentitismo » evitino ogni riflessione di fondo, ogni tentativo di valutarne la portata complessiva, di coglierne il significato nella storia della civiltà giuridica. Psicologi, sociologi, criminologi, che sempre hanno qualcosa da dire sui fatti del giorno, sui problemi alla moda, sembra che poco o nulla abbiano da dire su questa nuova figura, sul pentito, sulla sua psicologia, sui suoi condizionamenti. Si ha quasi l'impressione che, evitando di approfondire il problema dei pentiti, di sistemarne in un contesto logico_, non solo giuridico ma criminologico e di politica criminale, la figura, il ruolo, le prospettive, la cultura italiana voglia dare a se stessa l'alibi dell'irrilevanza o almeno quello della precarietà di un problema spiacevole e sconcertante. Una riflessione sul fenomeno nel suo complesso sembra dunque tanto più necessaria, quanto più pervicace sembra il tentativo di sfuggire alla verifica e al bilancio di quello che è ormai uno dei nodi essenziali della nostra giustizia penale. Ma questo discorso sui pentiti non può non essere anche un discorso sui giudici. Il Pentito non ha ragion d'essere, non ha un ruolo se non in funzione del suo rapporto con il Giudice. È nell'ambito di questo rapporto che il pentito diventa tale, svolge la sua funzione, ricerca il suo premio, è creduto o no, è utilizzato, è esaltato, determina il corso di tanti eventi giudiziari. Il Giudice e il Pentito, dunque: un accostamento necessario, non polemico. Il pentito non è certo il «mostro», così come il giudice non" è certo «il» responsabile delle mostruosità che con i pentiti e attorno ai pentiti si sono consumate e si consumano, mostruosità delle quali, invece, le responsabilità e i responsabili sono molti e molto diversi. E tra queste responsabilità quelle per omissione non sono le meno numerose né le meno gravi. Colmare un po' del vuoto determinato da queste omissioni, affrontare, anziché rimuovere, i problemi ignorati da coloro che ne portano le maggiori responsabilità è la pretesa di questo libro.