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Sono partito da Milano per scoprire l’Emilia. Non per scoprirla a voialtri: per conoscerla io. A voialtri scoprirò me stesso, vagabondante per questi paesi e cittadine, che hanno bellezze potenti e fragili. Ho portato con me, nel viaggio, la compagnia di un pittore futurista, che chiamerò Pìnico; di un commediografo pirandelliano, a cui darò il nome di Crotto; e infine quella movimentata e sconvolgente di Claudine, la quale non è vero affatto che se ne sia andata, come si afferma nel quarto ed ultimo volume che i coniugi Willy hanno scritto per lei. Infatti, dopo aver visitato Bayreuth, invece di tornare a Parigi, Claudine s’è messa (senza Rinaldo) a girare l’Emilia assieme a Pìnico, a Crotto, e a me. Tutti e tre mi sono entrati giusti giusti nella valigia. Per questo essa pesava tanto, quando stanotte m’è toccato scendere alla stazione di Borgo e portarmela da me sino all’albergo. Io adoro questi arrivi notturni in un piccolo paese che non si conosce, verso l’ignoto di una strada deserta, che ha tutte le finestre delle case chiuse; alla luce della luna o di qualche fanale, scrutando le insegne delle porte, per trovare un «Leone d’oro» o un’«Aquila», che è quasi sempre bianca, o un «Gambero», o una qualche altra bestia significativa, la quale abbia dato il suo nome ad un albergo.
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