"Juma! Help me. Fast!” Siamo a 5800 metri sul costone orientale di questa dannata montagna, i miei guanti da quattro soldi acquistati al mercatino dei profughi tibetani sono congelati ed hanno intenzione di surgelarmi le dita! Juma me li strappa e mi spreme le dita per riattivarmi la circolazione. Il dolore esplode nella mia testa rubandomi l’aria anche solo per imprecare. Appoggio la testa sulla sua spalla esplorando il dolore ad occhi chiusi.
Mancano trecento metri alla vetta ma la salita è ormai un calvario che affronto cinque passi alla volta. Nel mio zaino c’è una bandiera, un pezzo di stoffa realizzato da ragazzi poco più che adolescenti. Sembra ieri quando avevo la loro età, le stesse illusioni e la forza di quell’ingenuità. Su quella stoffa hanno disegnato la nostra terra, il nostro lago, i simboli delle nostre radici. Una splendida bandiera con i colori del cielo adornata con una poesia in dialetto."E’ con la lingua dei nostri vecchi che chiederemo al vento dell’Himalaya di dare voce alle preghiere dei nostri giovani". Questo è il piano.