Quando, nel 1972, Tiziano Terzani arrivò in Vietnam, era – come scrive lui stesso – il giovane corrispondente «ottimista, sorridente e speranzoso raffigurato coi sandali di gomma dei vietcong in copertina». Consegnò la propria esperienza di testimone della guerra al diario che l’anno dopo apparve col titolo Pelle di leopardo, con riferimento alla carta del Vietnam a chiazze, a seconda che una zona fosse occupata dall’una o dall’altra delle parti in lotta. Si ritrovò di nuovo in Vietnam nel 1975, e fu uno dei pochissimi giornalisti occidentali testimoni della liberazione di Saigon. Giai Phong!, pubblicato nel 1976, ricostruiva i retroscena diplomatici e di guerra di quei mesi febbrili. Qui i due libri vengono riproposti insieme: sono l’appassionante resoconto di un viaggiatore instancabile, sempre in prima linea, curioso di uomini e cose, e il «documento di un particolare momento nella storia di una rivoluzione, il momento in cui gli eroi non sono ancora stati rimpiazzati dai burocrati del terrore». Giai Phong!, in particolare, è il racconto «di quel che la rivoluzione avrebbe potuto essere» e del «perché così tanta gente potesse crederci e fosse pronta a sacrificare la propria vita in suo onore». Entrambi riflettono l’atmosfera, lo spirito di quel tempo in cui era ancora possibile riempire il futuro di speranze, di sogni: «avevo l’impressione di qualcosa di nuovo ed affascinante che veniva alla luce, qualcosa di magico come la vita di un neonato ». Poco importava, in quel momento, se il futuro aveva un volto antico e quel bambino si sarebbe rivelato ben presto «un mostro dal cuore di pietra», che sostituì una dittatura con un’altra.
Quando, nel 1972, Tiziano Terzani arrivò in Vietnam, era – come scrive lui stesso – il giovane corrispondente «ottimista, sorridente e speranzoso raffigurato coi sandali di gomma dei vietcong in copertina». Consegnò la propria esperienza di testimone della guerra al diario che l’anno dopo apparve col titolo Pelle di leopardo, con riferimento alla carta del Vietnam a chiazze, a seconda che una zona fosse occupata dall’una o dall’altra delle parti in lotta. Si ritrovò di nuovo in Vietnam nel 1975, e fu uno dei pochissimi giornalisti occidentali testimoni della liberazione di Saigon. Giai Phong!, pubblicato nel 1976, ricostruiva i retroscena diplomatici e di guerra di quei mesi febbrili. Qui i due libri vengono riproposti insieme: sono l’appassionante resoconto di un viaggiatore instancabile, sempre in prima linea, curioso di uomini e cose, e il «documento di un particolare momento nella storia di una rivoluzione, il momento in cui gli eroi non sono ancora stati rimpiazzati dai burocrati del terrore». Giai Phong!, in particolare, è il racconto «di quel che la rivoluzione avrebbe potuto essere» e del «perché così tanta gente potesse crederci e fosse pronta a sacrificare la propria vita in suo onore». Entrambi riflettono l’atmosfera, lo spirito di quel tempo in cui era ancora possibile riempire il futuro di speranze, di sogni: «avevo l’impressione di qualcosa di nuovo ed affascinante che veniva alla luce, qualcosa di magico come la vita di un neonato ». Poco importava, in quel momento, se il futuro aveva un volto antico e quel bambino si sarebbe rivelato ben presto «un mostro dal cuore di pietra», che sostituì una dittatura con un’altra.
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