Michele Interrante - I giorno del risveglio (2024)
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È il 1945, e il mondo che conoscevo non esiste più. Guardo il cielo sopra le rovine del mio paese, un cielo limpido che sembra quasi non avere memoria di tutto il dolore che ci ha colpiti. C’è un silenzio irreale, come se la terra stessa avesse smesso di respirare, stanca del suo stesso dolore. La guerra è finita, ma le sue tracce sono dappertutto. I marciapiedi sono crivellati, le case, quelle che un tempo erano rifugi sicuri, ora sembrano scheletri inermi, con le ossa spezzate. Ogni passo che faccio tra le macerie risuona come un colpo secco nell'aria immobile. Mi fermo, incapace di andare avanti, e osservo quel che resta della nostra vita. Ricordo ancora i giorni prima della guerra, quando questo stesso villaggio era pieno di voci e risate. I bambini correvano nei vicoli, gli uomini lavoravano nei campi, e la domenica, la piazza si riempiva di gente elegante che si riuniva dopo la messa. Oggi tutto ciò è un ricordo lontano. La mia famiglia ha perso tutto. Non abbiamo più una casa, né un futuro chiaro davanti a noi. Siamo sopravvissuti, ma a quale prezzo? Siamo rimasti in pochi, un pugno di persone che cerca di aggrapparsi a quel poco che è rimasto. Mi avvicino a quel che resta della nostra abitazione. Era lì che mamma preparava il pranzo ogni giorno, e papà tornava dal lavoro coperto di sudore, ma sempre con un sorriso sulle labbra. Ora ci sono solo macerie, il tetto crollato e i mobili sparsi come pezzi di un puzzle che non si potrà più ricomporre. Mia madre, una donna forte, ora sembra invecchiata di anni, con le mani che tremano ogni volta che cerca di aggiustare qualcosa, come se sperasse, in fondo al cuore, che tutto questo fosse solo un brutto sogno. Mio fratello Giovanni, più giovane di me, è sparito con la guerra, arruolato in fretta e furia per combattere in una battaglia che nessuno voleva. Da mesi non abbiamo sue notizie. Ogni giorno speriamo in una lettera, un messaggio, un segno che sia ancora vivo. Ma ciò che sento più forte in me è questa fame di ripartire. Forse perché, nonostante tutto, non riesco a immaginare che il mondo possa restare così. Qualcosa dovrà pur cambiare, e io voglio essere parte di quel cambiamento. Ho sentito parlare di ricostruzione, della possibilità di creare qualcosa di nuovo dalle ceneri. Gente come Alcide De Gasperi, di cui la gente parla sempre più spesso nei caffè e nelle piazze, sembra voler guidare il paese fuori da questa miseria. Non capisco molto di politica, ma ogni volta che sento pronunciare il suo nome o quello di altri come Ferruccio Parri o Palmiro Togliatti, è come se un pezzo di quel futuro incerto cominciasse a schiarirsi. Alcide De Gasperi è una figura che mi affascina, anche se l’ho visto solo sui giornali. Parlano di lui come di un uomo pratico, di poche parole, ma pieno di speranza per l’Italia. Lo immagino a Roma, seduto in una stanza con altri uomini, discutendo su come ricostruire un paese devastato. Vogliono un’Italia nuova, libera dai fantasmi del fascismo, un paese dove noi giovani possiamo avere un futuro. Parri, il partigiano, è un altro nome che mi rimane in testa. Dicono che abbia combattuto per liberarci, che abbia vissuto la guerra sulla propria pelle. Mi chiedo se abbia mai camminato tra le macerie come sto facendo io adesso, e se anche lui abbia sentito quella stessa fame di ripartire.....