Sono le quattro di notte e Hauke è sveglio. Ha ventinove anni e da tempo convive con l’insonnia, che gli impedisce di riaddormentarsi. Così si alza e, nel silenzio del suo appartamento vuoto, inizia a scrivere un diario − o una confessione – sull’anno appena trascorso, cercando di mettere in ordine i numerosi pensieri che continuano a tormentarlo. Attraverso le pagine del diario, racconta la sua vita fatta di routine, solitudine, amici perduti, rapporti familiari difficili e insoddisfazioni per una laurea sprecata. Un’esistenza anonima, complicata da forti tendenze masochistiche e feticistiche che l’hanno sempre fatto sentire diverso e malato. Ed è proprio della sua malattia che comincia a parlare, non solo quella fisica che lo costringe a rivolgersi a un medico, Sergio, ma soprattutto quella dell’anima, che lo porta a essere irresistibilmente attratto da quell’uomo, riconoscendo nel suo sguardo e nei suoi modi un essere a lui complementare. I due instaurano una relazione sessuale sadomaso, complicata e senza apparente futuro, poiché Sergio si dichiara da subito fidanzato e non interessato a Hauke se non come sottomesso. Lungo il diario, passato e presente si alternano, ricordi dell’infanzia e dell’età adulta si richiamano a vicenda, e, a volte, risulta difficile distinguere ciò che è sogno da ciò che è reale. Ma, in un momento di lucidità, Hauke trova la forza di confessare a se stesso una verità scomoda, anche se incontestabile: “Io non sono mai stato lo schiavo di un altro uomo. Sono sempre stato schiavo di me stesso.”
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