Alessandro Volpi - Una crisi, tante crisi. Il crollo della finanza e la malattia del mercato (2009)

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data: – 25.04.2015, 13:33
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Alessandro Volpi
Una crisi, tante crisi
Il crollo della finanza e la malattia del mercato
2009 | True PDF | 1.3 MB
 
 
L'attuale crisi presenta caratteri nuovi. Costituisce l'epilogo di una serie di contraddizioni emerse all'interno del capitalismo finanziario degli ultimi vent'anni: eccesso di liquidità, volontà di cancellare la nozione stessa di rischio, distribuendola su una miriade di soggetti, moltiplicazione degli strumenti speculativi. In questo senso è una crisi che contiene in sé più crisi diverse, dalla crisi immobiliare a quella finanziaria fino a quella industriale. È quindi la prima vera crisi globale che non parte dalle aree deboli dall'economia internazionale, ma dal cuore del sistema, muovendo dagli Stati Uniti all'Europa e di qui al resto del mondo. Il capitalismo finanziario, nel costante tentativo di perfezionarsi e di creare nuova ricchezza ben oltre la disponibilità del sistema produttivo, ha smarrito ogni traccia di identificazione fino a perdere la propria identità e a rendere anonimo e imprevedibile il rischio connesso alle proprie attività. In un arco di tempo molto breve si è passati dalla scomparsa del rischio alla sua assoluta dilatazione, due dimensioni entrambe evidentemente artificiali. La crisi configura un mondo con minori interrelazioni, con minori dipendenze necessarie e con maggiori chiusure. In un clima siffatto l'idea che il lavoro debba essere prima di tutto riservato ai cittadini "autoctoni” diventa decisamente prevalente. Statalismo, protezionismo, nazionalismo possono comporre quindi una pericolosa catena di "ismi” che rischia di sfociare nella xenofobia; un sentimento di cruda ostilità verso lo straniero, "depredatore” delle magre disponibilità nazionali, che molti linguaggi della politica possono coltivare e che persino le forze sindacali faticano a contenere. Nel momento in cui le delocalizzazioni selvagge degli anni Novanta si stanno interrompendo perché si riducono a livello planetario i consumi e pertanto ha poco senso aumentare i volumi produttivi, si assiste ad una "ricollocazione” patriottica delle imprese che, a partire dall'Europa, rinfocola distinzioni e alimenta prospettive meramente domestiche. Il vero problema tuttavia è costituito dal fatto che nessuna delle singole economie del Vecchio continente ha i mezzi per uscire da sola dalla crisi in atto, tanto più se la più grande economia del mondo, quella degli Stati Uniti, pone in essere una decisa azione di sostegno della proprie imprese.
 
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