Lungo le tappe della vita, la generosa carriera di una maestra nella Spagna repubblicana. Era il 1923 quando iniziò quello che Gabriela chiama il suo «sogno», che è lo stesso sogno rivoluzionario dell’istruzione: vincere l’infelicità umana attraverso l’educazione. Maestra appena diplomata, il primo incarico lo ebbe in un paesino di montagna isolato, che le insegnò prima di tutto la resistenza di un ambiente ottuso. Subito dopo, la Guinea equatoriale, dove conobbe l’entusiasmo infantile dell’apprendere in cui si manifesta, essendo i bambini uno specchio fedele, il desiderio insopprimibile della società di progredire. Poi i distretti rurali della Spagna profonda, con le prospettive nuove aperte dalla Seconda Repubblica, gli odi retrivi e i fanatici eccessi, mentre la sua vita privata si dibatteva nella dura esistenza quotidiana. Fino alla scoppio della guerra civile, il sogno infranto. Ma Gabriela non è una militante, è una maestra. Per questo nella sua memoria risalta, con più forza che in qualunque retorica progressista, come sia l’istruzione il campo permanente in cui si svolge la lotta per il cambiamento. E le sue parole non riflettono solo il sacrificio, in un’epoca volenterosa, di tanti maestri di campagna (in Spagna, ma si può dire anche altrove) che volevano salvare la società attraverso l’educazione.
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