Tre soldati francesi arrivano in licenza a Parigi dopo diciotto mesi trascorsi al fronte in Algeria. Si immergono nella grande città per dimenticare una guerra assurda, che Parigi ha trovato più comodo ignorare, costringendoli così a ricordarla continuamente.
Quando, alla fine degli anni Cinquanta, Daniel Anselme, poeta e giornalista allora trentenne, scrisse questo romanzo, fu come se la Francia ricevesse un colpo in piena faccia. È il romanzo di una generazione «perduta», al centro di un grande dramma francese ed europeo. Non descrive il conflitto, non esibisce i morti; racconta le scorribande parigine dei tre soldati, alla ricerca di vecchi amici, di nuovi amori, di una rissa o anche solo della consolazione di una ubriacatura. Eppure i loro tristi vagabondaggi in una città – stupendamente dipinta – che finge di non vederli restituiscono gli orrori di questo ultimo conflitto coloniale meglio di quanto farebbe la più cruenta delle descrizioni: con la forza di un pensiero costante e ossessivo. E per noi, che leggiamo il libro ora, questi tre giovani consapevoli di un destino ineludibile evocano in modo struggente un mondo, un’epoca, le sue atmosfere. Un romanzo riproposto da numerosi editori internazionali, che sa esercitare oggi, forse ancora più che un tempo, la sua singolare magia.
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